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Il sole è tornato,
riparte la carovana,
gli odori di Camden,
la bocca a pezzi,

se fossi qui
il vento ti alzerebbe la gonna
sopra questa città,
se solo
fossi qui,

ti amo
ogni giorno di più.

Dentro quel bagno
chiusi per sempre,
una musica nuova
che lontano non va.

Creste
e un calcio
che penetra
la facciata
del palazzo
dritto al fianco,
forse,
stanco forse,
solo allora
tu pensi un po'.

Camden Town (London), 07 may 11 :)

Parte II

- Bella serata… no?
Non succedeva spesso che Ginzburg non sapesse cosa dire. Elena si rilassava sul sedile che aveva leggermente reclinato, guardava la strada e resisteva al sonno. Si fidava dell’improvvisato autista. In autostrada, quando non guidava, ripensava spesso ai viaggi fatti durante l’infanzia a bordo del camion guidato da suo padre. Decise di resistere al desiderio di una sigaretta, Enrico fece lo stesso. Il professore era un po’ a disagio e tentava di nasconderlo, ma in 35 minuti di viaggio gli era venuta fuori solo quella domanda sul meteo, o in generale sulla serata trascorsa.
- Sì, sì. - fece Elena. Picchiettò due volte con l’indice sulla portiera.
- Ho pensato fossi stanca per andare da qualche parte, - si decise Eric. - ti porto a casa.
- Eh, vedo. E poi?
- Lascia fare a me, ci sarà pure un taxi, un treno, qualche bus…
- A Noce?... - Elena lo guardò sorridendo. Per un attimo Ginzburg distolse lo sguardo dalla strada e la guardò. Dietro le lenti vide i suoi occhi che lo guardavano dritto in faccia. Fu solo un istante, ma vide qualcosa in quello sguardo che gli ricordò, déjà vu, quello studente poco più che ventenne incontrato anni prima. Erano occhi curiosi, ambiziosi, svegli nonostante l’ora e la stanchezza e l’inverno. Nonostante l’età. Era possibile che quegli occhi mettessero in soggezione un uomo come lui, seppure per un istante?
- Eh sì, Noce… - fece. - vabbè, che ne so, mi farò un giro! Lascia fare a me, ti dico… non hai un navigatore?
- No, non mi serve. Sei mai stato a Noce?
- No, e neanche conosco nessuno.
- Meglio così.
- Perché?
- Non frequenti già abbastanza ipocriti arroganti e perbenisti dalle facce improbabili qui nell’Agglomerato?
L’Agglomerato era ormai alle loro spalle, Elena non se n’era accorta. Per lei tutti ciò che incontrava fino al suo paese era Agglomerato. Ginzburg fece un sorriso: quella ragazza non finiva mai di stupirlo.
- Eh eh, - ridacchiò. - hai ragione… come stai, Elena? - gli sfuggì con tono protettivo e realmente interessato, il che succedeva sempre meno spesso. Elena rispose tranquillamente, forse se l’aspettava. Sempre meglio dei giornalisti da cui l’aveva “salvata”!
- Mah, piuttosto bene. - Era una risposta di circostanza, o era vero soltanto in parte, la parte più esterna, ma lei non sembrava curarsene molto.  - Mangio, lavoro, dormo. Purtroppo sogno. Cose così. Normale.
- Normale? Davvero? Ti invidio. - disse Ginzburg. Era contento della piega che aveva preso la conversazione.
- Non mi prenda per cinica. - disse Elena piuttosto imperturbabile, gli occhi sulla strada.
- Ma no, ma no! - si affrettò a dire Ginzburg. - Ti conosco. Elena, dammi del tu; sono 6 anni che ci conosciamo.
- Hai ragione. - Elena era stanca davvero, non era una scusa inventata per i cronisti. - Comunque, probabilmente una lunga felicità estrema e un improvviso, immenso dolore dopo un po’ di tempo ti lasciano in una situazione di almeno apparente normalità. Credo di aver fatto la media. È stupefacente.
- Però, mi sembra di sentire lui.
- Anche a me.
Elena sembrava disposta a parlarne e Ginzburg cercò di smettere di far cerimonie con quella ragazza dell’entroterra campano che poteva essere sua figlia. Sulla piccola autostrada illuminata non c’era quasi nessuno, in cielo s’intravedeva qualche stella. Schiacciò l’acceleratore.
- Elena, se ti annoio, riservami lo stesso mio trattamento nei confronti di quel giornalista, in qualsiasi momento.
- Va bene prof, tranquillo. - sorrise Elena Pedicini.
Ginzburg esitò, poi: - Elena, ma è davvero andata così?
- Dipende da quello che sai.
- So quello che si dice, prendo per buono quello che leggo, spero di fare bene.
- Allora sì, più o meno.
- Vuoi parlarne, ci riesci? - chiese il professore ancora una volta, con la voce più rassicurante di cui fu capace.
- Sì prof.
- Costa è morto? - chiese semplicemente.
- Ci abbiamo appena fatto un convegno. - sorrise Elena, ma il suo sorriso era diverso ora. Si era fatto spento, quasi isterico.
- Voglio dire, non è possibile che sia ancora vivo? - domandò Ginzburg lentamente, pesando le parole, cercando di farsi capire bene. Si parlava di una vicenda clamorosa e la conversazione si svolgeva in modo quasi surreale.
- No, non è possibile. E non sai quanto mi ci è voluto per capirlo, per smettere di torturarmi ogni secondo. Questa non è più vita, ma per lo meno la rassegnazione porta all’elaborazione della realtà. Ed è grazie a questo processo che io da circa un mesetto ho ripreso una parvenza di vita normale, fatta di orari, di impegni, di routine, come prima, anche se non sarà mai più come prima, ma certo non fatta più di simili pensieri. Dove sarà, come starà. Gianni è morto professore, il mio Gianni, la persona che amavo di più, è stato fatto fuori. Rassegnamoci. Non mi mettere idee in testa.
- Non vorrei mai, Elena…
- Parliamone, ma non mi mettere idee in testa. - ripeté Elena in modo meccanico, trattenendo le poche lacrime che le rimanevano da piangere. - Mi vedi calma… mi vedi? - lo guardò di nuovo dritto negli occhi fissi sull’asfalto. - Non prendo niente, non prendo pillole, le odio. Mai stata da un analista, non ci abbiamo mai creduto. È un estraneo, non diverso da un giornalista, e devi pure pagare per farlo, stare ai suoi orari, al suo gioco. Almeno i giornalisti ti ascoltano, non chiedono altro. Tutti sentono quel che vogliono sentire, e il problema rimane. Se c’è un problema, lo devi risolvere: è così che abbiamo sempre fatto, così siamo stati educati. Così vai avanti. Mi vedi? Non piango più, me l’hanno ucciso!, e io non piango! Ho pianto per quasi un anno, è inutile e non ce la faccio più, davvero! - esclamò Elena con veemenza.
- Lascia perdere, viaggiamo in silenzio!
- No, no, professore, - Elena si calmò asciugandosi la guancia: una lacrima le era sfuggita dalla coda dell’occhio. Singhiozzò. Non piangere. Non devi mai. Va tutto bene e sempre così sarà. Sono con te. un bel respiro. Chiudi gli occhi. Riparti. Déjà vu. - preferisco parlare con lei, sì insomma, con tu!
Con tu! Scoppiarono a ridere. Ginzburg strinse il volante e cercò di rimanere razionale. Sviò un poco la conversazione.
- Con tu, eh eh… senti Elena, ma perché non torni a vivere in città? Conosco tanta gente lo sai, potrei… - aggiustò il tiro. - …potresti cercare un lavoro, tu scrivi… scrivevi, eri brava, sì insomma, lo sei!
- No grazie Eric. - Elena gli toccò la mano che lui teneva sul cambio. - Non ne potevamo già più dell’Agglomerato. Sto bene, gestisco un locale.
- Sì, lo so, gestisci un locale a Noce. - disse l’accademico imitando scherzosamente il tono usato poco prima da lei parlando del suo paese natale.
- A Gianni piaceva l’idea di un locale a Noce, e anche a me piace.
Ginzburg ritornò serio. Ma che diavolo, era più facile parlare di letteratura italiana con Giulio Ferroni che fare quel viaggio di 100 km con una ragazzina che parlava ormai senza espressione!
- Ma non è di tua proprietà, giusto? - ribatté subito.
- No no, ma faccio praticamente tutto io, il proprietario lo conosco.
- Paga bene?
- Sì, le entrate per fortuna sono buone.
- Sta bene. E…
- Non torno. - lo interruppe la sua giovane amica. - Non scrivo più.
- Peccato. - Ginzburg era sincero con Elena. - Un bel volume…
- No davvero. - tagliò corto Elena. Non mi interessa più. Stasera sono venuta perché c’eri tu, e poi è stata un po’ una sorpresa. Ma ho chiuso quasi del tutto con quel mondo. E con quel posto.
Ginzburg non ebbe bisogno di sentire altro.
- Certo. - annuì. Sospirò. - Dopo quello che è successo. - Si asciugò una guancia leggermente sudata. - Che poi, erano stranieri, giusto?
Elena annuì. - Pare che tra lor parlassero francese, qualcuno forse anche inglese. Avevano una pessima pronuncia e la carnagione bruna.
- Non si è mai trovato nessun possibile colpevole?
- No. - Sembrava un’incredibile intervista, ma non infastidiva Elena.
- Cioè, vuoi dirmi che non sono saltati fuori in tutto l’Agglomerato sei o sette figli di puttana anglofoni o francofoni di carnagione olivastra?
- Erano in 5, e non si trovano. Paolo…
- Ah sì, Paolo Torre!
- Sì. Lui era con Gianni quando è successo. Glie ne hanno fatti vedere a centinaia, ma non c’entravano niente. Paolo si è occupato personalmente dei rapporti con la polizia, è nato in città, ha molte conoscenze. A nessuno è stato torto un capello perché i responsabili non si trovano, i modi degli agenti sono molto migliorati. In più, quelli erano mascherati da Berlusconi e d’Alema e cose simili. Si avvicinava il Carnevale, non devono aver insospettito nessuno. Sai quante maschere del genere sono state vendute nell’Agglomerato?
- Capisco. Si sono nascosti bene.
- Letteralmente spariti.
- Ma…?
- La versione ufficiale dei fatti è quella vera. - Quante volte l’aveva ripetuta negli ultimi 12 mesi? Quante volte se l’era immaginata? - Erano stati da Malik il pakistano per un kebab, come spesso succedeva, io ero a casa a studiare. Si erano spinti nei bassifondi più bassi dell’Agglomerato, giù nel Distretto Orientale, ci giravano spesso. Gianni si lasciava ispirare dal turpe come dal sublime, “la chiesa e la fogna” diceva. Conosceva tutti gli intellettuali ed era amico di tutti i barboni. Nel bel mezzo di vico Tufo, dopo il CSOA Fire Fi…
- Fire Fi?
- Gli hanno cambiato nome da poco, oggi si chiama Free Fi. - Quando un fatto raggiunge un vasto interesse, sembra che non si parli d’altro, e che ogni altro fatto sia a esso conseguente. In questo caso, l’impressione, che Ginzburg avvertì distintamente, era esatta: il centro sociale era stato ribattezzato dopo quegli accadimenti. - Sbucano due uomini, uno più grosso e l’altro mingherlino, chiedono a Gianni e Paolo qualcosa da fumare, qualsiasi cosa, in un italiano stentato. Gianni estrae una sigaretta, il più piccolo dei due una pistola.
- Erano mascherati, giusto?
- Sì, ma sai bene quanti spostati ci sono nell’Agglomerato, la cosa li turbò poco, e a essere sincera avrebbe turbato poco anche me perché può capitare. Quello che non capita tutte le sere è ricevere una bastonata nelle gambe da Berlusconi e d’Alema.
Ginzburg si morse il labbro inferiore.
- Gianni cadde, Paolo gridò, erano impotenti. Altri due uomini sbucano dal nulla, armati, uno di pistola, l’altro di qualcosa di simile a un manganello. “Giovanni!” grida il primo, e il poveretto si volta verso di lui. Il secondo spinge Paolo a terra, il suo cellulare va in pezzi. In due li tengono sotto tiro, gli altri due trascinano via Gianni colpendolo ripetutamente. Parlano velocemente, ma Paolo capisce, in francese: “E’ lui, vero?”, “Sì, è lui il poeta!”. Il poeta, capisci? Neanche gli piaceva essere chiamato così!
- È assurdo.
- Non eravamo ricchi, non eravamo famosi, non eravamo nessuno.
- Perché allora?
- Nessuno lo sa, tranne quei 5 pezzi di merda. Non hanno chiesto alcun riscatto, non una chiamata, non una notizia per un mese. Spariti nel nulla, nessun contatto. Lo abbiamo cercato dappertutto, prima nel Distretto Meridionale…
- Il Quartiere Islamico.
- Niente, semplicemente non sono in nessun posto, è come se la terra li avesse inghiottiti. L’hanno portato via a bordo di una macchina stranissima, che Paolo non aveva mai visto prima, non ricordo neanche il nome, un’auto sovietica!
- Una Lada-Vaz Niva.
- Esatto! Ricordo che era enorme, tipo fuoristrada, a stento passava tra i vicoli, il quinto, il pilota, doveva essere molto bravo. Sbuca dalla traversa, salgono tutti a bordo trascinando con loro Gianni, picchiandolo e bestemmiando, per poi fuggire via lungo vico Tufo, nella notte.
- È una storia incredibile, non ha senso! - Ginzburg continuava a ripetere le stesse cose scuotendo il grosso capo ricciuto.
- Paolo rimase solo, sotto shock. Venne da me, distrutto. Il momento più follemente disgraziato della mia vita. - disse Elena con voce penosa ma lucida. - Ovviamente andammo subito alla centrale di polizia vicino dove abitavo, che dovrebbe contenere la criminalità almeno nelle immediate vicinanze. Sfortunatamente, non siamo a Sim City.
- A me pare piuttosto Sin City. - provò a sdrammatizzare Ginzburg.
- È vero. - fu la sola risposta di cui fu capace Elena, che non riuscì a sorridere.
- Non so davvero come andrà a finire, se potessi me ne andrei anch’io. - Non alludeva unicamente al caso Costa, l’Agglomerato era un posto pericoloso. La polizia faceva quel che poteva, ma legalità, ordine ed equità richiedono soldi, e soldi non ce n’erano, o meglio c’erano, ma nei posti sbagliati. La corruzione e la malavita organizzata facevano il resto. Gli inquirenti avevano pensato anche all’NMO (Nuova Mala Organizzata), ma cosa poteva mai avere a che fare con un giovane scrittore tranquillo e squattrinato? Gianni Costa, e anche Elena Pedicini, non avevano la visibilità per dare fastidio a qualcuno. - Ti serve un cuoco? - sorrise Ginzburg. Questa volta Elena non riuscì a non fare altrettanto: uno dei primi italianisti nazionali si era appena candidato come suo sottoposto. “Ma cosa accidenti succede?, non doveva andare così! Lo diceva Gianni: a volte vorrei una vita normale.”
- Siamo andati alla polizia, - riprese a dire. - quindi nessuno ha pensato a bloccare il conto di Gianni. Il giorno seguente i suoi pochi soldi non c’erano più. Prelevati dalla posta centrale del Distretto Meridionale. Mai che funzionino le telecamere di sorveglianza lì fuori. Mai una traccia, mai un indizio, lo hanno costretto a prelevare. Non erano molti soldi, non l’hanno rapito per quello.
Ginzburg taceva e ascoltava, cosa inusuale per lui, gli occhi sulla carreggiata.
- Passò un mese. Non si parlava d’altro, lo cercavano tutti, chiunque conosceva Gianni Costa e la sua faccia. Una signora lo trovò ubriaco sulla panchina di un parco e scatenò il putiferio: purtroppo non era lui, anche se gli somigliava.
- Mi ricordo, - intervenne Ginzburg. - molti dichiararono di averlo visto.
- Tutte bufale, - fece Elena. - allucinazioni, o invenzioni. A me capita di vederlo, ma purtroppo non è lui.
- Sì. Anche a me.
- Il suo libro cominciò a vendere. - proseguì Elena. - Il trentunesimo giorno, una email raggiunse le caselle di posta delle principali testate nazionali e locali: “Il Poeta è morto. Evviva il Poeta!” Da principio non si credeva possibile, poi, mese dopo mese, ci siamo arresi all’evidenza: Gianni Costa è stato ucciso dai suoi rapitori, misteriosamente scomparsi, forse espatriati. La polizia non lo cerca più, è impossibile che sia ancora vivo dopo quasi un anno senza un solo segnale. La mail fu inviata da un computer rubato che pare sparito pure lui nel nulla. Mai una traccia, mai un indizio.
- Non un testimone?
- Il Granconte, l’ubriacone di vico Tufo.
- “L’Animale”? Andiamo bene…
- Vedo che qualcuno frequenta il Distretto Orientale.
- Frequentava. Ha confermato?
- Ogni cosa.
- Dio mio.
- Da un anno vivo in un incubo. Un indistruttibile, ovattato incubo. È già tanto che mi renda conto di cosa faccio e di come mi chiamo.
- Scusa, ho afferrato: da oggi ti inviterò solo tra il pubblico.
- Tranquillo prof., comunque grazie. Gira a destra.
Avevano appena lasciato l’autostrada per il comune di Noce.
- Ho sentito Andrea Nippolis, - si ricordò Eric svoltando. - potrebbe scrivere una biografia, autorizzata naturalmente…
- Non lo so, Eric. La sua prima raccolta è un best-seller, i 3 libri postumi, le traduzioni, i convegni…
- Guarda che è bello, ne sarebbe fiero…
- Certo, lo so… fammi parlare con i genitori…
- D’accordo. E se no, a fare in culo anche Nippolis!
Stavolta risero un poco. Poi fu Elena a ricordarsi una delle ultime novità.
- Vogliono fargli una statua. - disse, come fosse la più trascurabile delle notizie.
- Una statua?
- Beh, mi ha detto un assessore di un mezzobusto al parco comunale, tra quelli delle celebrità locali.
- Mi sembra un’ottima cosa, Elena.
- Accosta professore, siamo arrivati.
Elena indicò una traversa a destra che si apriva sulla curva al termine della discesa che stavano percorrendo, dietro una chiesetta. C’era un po’ di nebbia e l’asfalto era umidiccio come al solito. Enrico Ginzburg, poco avvezzo alle stradine di campagna, girò lentamente il volante. proseguirono lungo una ripida discesa costeggiata di graziose casette, tutte dotate di comignolo, cortiletto con tettoia, cuccia per il cane. Dopo pochi metri, Elena disse a Ginzburg di entrare in uno dei cortiletti illuminati: erano arrivati.
La ragazza guidò il professore su una piccola scalinata.
- Entra e bevi qualcosa. - Ginzburg non rifiutò. Salirono i pochi gradini e accedettero nell’appartamento situato al piano sopraelevato, occupato da Elena. Viveva in affitto e la sua casa era composta da un minuscolo ingresso, una piccola cucina, una piccola stanza da letto e un piccolissimo bagno. Un piccolo appartamento che a lei sembrava enorme.
Ginzburg fece attenzione a non sbattere la testa entrando in casa. Elena lo condusse in cucina e prima ancora di chiedere: - Whiskey, vero? - mise mano a una bottiglia di Jack Daniel’s quasi del tutto piena. Ginzburg sorrise. Di solito agiva impulsivamente: le persone con cui era uscito dal teatro, tutte di medio-alta importanza, si stavano certamente chiedendo dove fosse finito; sua moglie non l’aveva nemmeno cercato al telefono perché lo conosceva; si ritrovava nella provincia sperduta senza alcun motivo, eppure ne era contento, ed era contento di essere riuscito ad affrontare sufficientemente bene quella situazione. In fondo, i due si stimavano vicendevolmente. Elena si concesse una sigaretta che estrasse dalla borsetta, Ginzburg bevve.
- Qui non avete giornalisti? - rise. - A quest’ora avrebbero già scritto che siamo amanti, in città!
- E tu sei uno dei non più di 3 accademici che sono certa non voglia dar loro ragione!
- Ha ha ha Elena, ma hai l’età di mia figlia! Lunedì ha un esame.
- Lettere?
- Per carità! - Ginzburg alzò le grandi mani al cielo. - Ingegneria!
- Incredibile! - Fu l’unica volta che Elena alzò la voce in tutta la serata.
- Maledetti, l’università è diventata infinita! - attaccò Ginzburg. - Noialtri siamo costretti a lavorare fino alla dipartita, voialtri a studiare! Cambia l’ordinamento, cambia il conio, un esame nuovissimo ordinamento è uguale a 1936,27 esami del nuovo ordinamento, ora cosa ci attende, il nuoverrimo disordinamento? - Era al secondo cicchetto e rideva, ma smise subito per delicatezza. - Rimettiti a studiare.
- Non mancherò.
Ginzburg si grattò la testa scompigliandosi i capelli sulla nuca. - Beh, tra poco albeggia, - disse senza neanche guardare l’orologio. - Vado. - Voleva raggiungere il cappotto sul divano, ma non gli era semplice alzarsi dalla sedia.
Elena prese con sé il cappotto.
- Buonanotte prof.

...continua

su di me

La mia foto
Ariano Irpino, Avellino, Italy
Antonio Oliva è nato nel 1985 ad Ariano Irpino (AV). Ha partecipato a numerosi progetti teatrali e musicali. Nel 2009 si laurea in Lettere Moderne e nel 2012 in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Dopo diverse esperienze nel 2015 si abilita all'insegnamento presso lo stesso Ateneo. Ha lavorato a Roma e Bergamo e vive itinerando.
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