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quando, sollecitato, ho dato anch’io la mia versione dei fatti

Piccoli fumatori d’oppio
con politici di paese e giornalisti
in ogni educazione che ricevi,
in ogni film che vedi,

voglio essere irragionevole
se ragionevolmente dividi il bottino con l’orco,
sirene si guardano di sottecchi,
rose tra i capelli hanno,
prone davanti ai vostri ghigni,
il tricolore negli occhi.

Avellino marzo ‘13
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parte 5


Faceva caldo quella sera, come ogni sera d’estate dell’Agglomerato. I pedoni, le limousine, gli stormi degli uccelli: tutti avevano un posto verso cui correre in quell’infinito crepuscolo di fuoco. La salita che conduceva all’Hotel Oriente, in pieno centro, era affollatissima e i giornalisti erano praticamente stipati sul marciapiede, tra la facciata dell’albergo e il cantiere che occupava la carreggiata. C’erano molti appassionati, intellettuali, artisti, semplici curiosi, ragazzi che cercavano di farsi largo per vedere, altri che abitavano lì vicino ed entravano e uscivano dal supermercato. Una giovane coppia che non riusciva nemmeno a respirare venne spinta via da un cameraman la cui volgarità faceva a cazzotti col lussuoso albergo: ancora una volta, il turpe e il sublime si abbracciavano nell’Agglomerato. Il fidanzatino guardava la scalinata che portava all’immensa porta a vetri girevole che immetteva nella hall, come tutti gli altri, ma nei suoi occhi c’era un bagliore diverso, era come posseduto, sembrava stesse ammirando la scala che conduce in Paradiso. Con lo sguardo indicò quella porta alla ragazza, che guardò la porta e guardò lui, poi di nuovo la porta. Pareva di udire tutte le lingue di Babele. - Stanno arrivando! - si udì. - Pronti! - gridò qualcuno.
Tutti, in particolar modo i giornalisti, corsero nella stessa direzione, pronti ad accalcarsi attorno a qualcos’altro. Tutte le cineprese filmavano, tutte le fotocamere scattavano: un mare di flash e di clic clic clic.
Arrivarono, e non fu come se l’immaginava chi non li conosceva. Frederick d’Antoni ed Elena Pedicini arrivarono a bordo di un’auto anonima, come se ne vedono duemila in un solo giorno per l’Agglomerato, nessuno notò neppure di che macchina si trattasse. Un cameraman cadde. Una donna urlò più forte degli altri. I due erano seduti dietro, erano in compagnia di due amici anch’essi scrittori, Antonio e Daniele, che guidava e possedeva la macchina. Frederick salutò tutti alzando il pollice dietro il finestrino.
L’auto rimase in mezzo alla strada, bloccata da folla e cantiere. I quattro scesero e cercarono di guadagnare le scale, invano. In realtà erano tutti contenti, tranne forse Daniele, di quella situazione, a cui si erano ormai abbastanza abituati. Daniele e Antonio rilasciarono qualche dichiarazione e risposero ad alcune domande, la maggior parte dei cronisti si gettò contro i due innamorati, pronti alla solita chiacchierata.
- È ora di cena, buon appetito a tutti! - sghignazzò Frederick alzandosi gli occhiali scuri e arrotondati sopra la fronte e mostrando gli occhi azzurri. I due si fermarono al centro della scalinata. Stavano decisamente bene: lui si era rimesso, si era accorciato barba e capelli, sempre neri, indossava un completo blu su camicia bianca e scarpe nere. All’anulare sinistro un anello metallico a fascetta, al destro uno con una grossa pietra nera. Anche lei aveva accorciato i capelli, una volta rossi, castano-ramati alla base e biondini alle punte, naturali, ora rosso fuoco, come vestitino, borsa e tacchi, un po’ di matita per occhi celata dagli occhiali simili a quelli di lui, ma solo un tocco. All’anulare sinistro lo stesso anello a fascetta. Braccati, sorridenti, rispondevano alle domande che capivano.
- Elena, com’è stato l’incontro di stasera?
- Sinceramente non avrei mai immaginato una tre giorni di studi su Gianni, lo meritava.
- Com’è andata?
- Fantastico.
- Frederick, ti senti l’erede di Gianni Costa?
- Gianni era un’altra cosa, - scambiò uno sguardo con Elena, poi, sorridente ma serio: - io cerco solo di essere un buon imitatore.
- Ci riesce abbastanza bene!
Molti risero.
- Puoi dirci qualcosa sul vostro prossimo libro insieme?
- È presto caro, - rispose Frederick. - ci vediamo in libreria!
- Elena, quando sono stati scritti i componimenti confluiti nell’ultimo capolavoro di Gianni Costa uscito postumo questo mese? - gridò un reporter, il volto tondo e paonazzo, i capelli pochi e neri, saltando a scavalcare i colleghi per avvicinare il cellulare alla ragazza.
- Nell’ultimo periodo della sua vita.
La giovane coppia avanzava tra i corpi sudati chiusi in camicie a righe, lui faceva da apripista. Riuscì a raggiungere Frederick, a toccargli una spalla mettendoci una mano sopra, per farlo allungò il braccio finché poté e urtò il reporter pelato. Il ragazzo e Frederick si guardarono intensamente negli occhi e in quel momento sembrò che il tempo e le urla improvvisamente si fermassero, che in quel posto non ci fossero che loro quattro. Il caos però continuava là fuori e il reporter insultò il giovane spingendolo e facendolo cadere.
- Ma è pazzo?! - esplose Frederick buttandosi verso l’aggressore, trattenuto a fatica da Elena. - Non ha neanche vent’anni, razza di idiota! - Il poeta aiutò il giovanotto ad alzarsi. Tutto questo provocò una spinta verso l’esterno: la folla indietreggiò, poi l’onda si riversò con violenza in direzione delle scale. Il ragazzo era in piedi, la ragazza spaventata. Non si era fatto niente. Frederick gli fece un segno: ci vediamo dopo. E così fu: più tardi la coppia sarebbe uscita per fare una foto con i due giovani, Frederick fece un autografo a lei e salutò con un bacio sulla guancia lui: - Scrivi, vero? Questo è il mio biglietto, chiamami. Ora dobbiamo proprio andare.
- Elena, Elena, è vero che hai ripreso gli studi? - fece un giovane, non sembrava neanche un giornalista, scavalcando il pelato che era rimasto lì incredulo, ancora più rosso di prima.
- Sì. - rispose semplicemente lei, annuendo.
- Vivete nella città di Frederick o al paese di Elena?
- Non lo sappiamo, per ora itineriamo!
- Andate mai a ballare in discoteca?
- E perché mai. C’è già abbastanza casino qui.
- E alle feste vi invitano?
- E ci andate?
- Dipende dalla festa: stasera sì.
- Frederick, cosa ti è piaciuto di più di questo pomeriggio a teatro?
- Il piano e la video-art!
Dall’altra parte della strada, Enrico Ginzburg si godeva la scena ridacchiando, chissà perché, prima di sgattaiolare dentro e, finalmente, godersi la meritata cena.
- Amore, si muore di caldo, non ne posso proprio più. - sussurrò Elena a Frederick. I due cominciavano a sudare visibilmente. Frederick salutò tutti con la mano: - Ciao ciao! -, Elena mandò un grosso bacio alla folla che esplose, facendole salire un brivido lungo la schiena, un brivido piacevole, come mai le era successo prima. Frederick si girò per avviarsi alla porta, quando alle sue spalle si levò una voce altisonante:
- Frederick, tu sei Gianni Costa?
Si fermò, paralizzato, ma lo nascose. Si voltò e incontrò lo sguardo di Elena, abbastanza terrorizzato. Esitò un attimo. Il volume delle grida scemava.
- Questa gente crederebbe a qualunque cosa. - riuscì a sussurrare a Elena. Poi: - Ma certo! - gridò. - Come stai, vecchio mio?
Tutti scoppiarono a ridere, poi ci fu un forte applauso. Lui guardò lei:
- Si è fatto tardi, baby. Andiamo, gli altri ci staranno aspettando da un pezzo.

antonio oliva estate 2013

Il poeta triste, Armando Vàsquez Rubio
Stasera scrivo a terra,
solo lacrime nel calamaio,
non conosco il dialetto che uso,
sai, credevo fosse facile gustare
l'Eden e la lancia nel costato,
necessario tenere tutto accatastato,
ma ci riesco?
Ogni volta che smetto
comincia una nuova sezione,
un nuovo giorno di marcia.
Ho giocato coi piaceri del cielo
e succhiato le viscere nere,
oggi di cosa ti pasci? Come andrà?
Se reggo, mi troverai
gemendo un sabato sera,
se reggo.


15.02.2014

parte 4

Elena sedeva al pc: leggeva un articolo intitolato “Chi era Gianni Costa, intellettuale raffinato e abile cuoco”.
“Dovrei pensare ad altro ogni tanto, non far solo finta di farlo.” Almeno ora non indossava maschere e si comportava nel modo che trovava più naturale. Boccata di Marlboro. Citofono.
Si era fatto tardi ed Elena non aveva pranzato. Il tramonto del sole dietro i monti e le nuvole rosa e violetto aveva lasciato il posto a una tiepida sera d’inverno, in cui le stelle brillano nel cielo nero. Solo qualche nuvola plumbea, un po’ di nebbia, la solita umidità. Gli abitanti di Noce non dovevano essere quasi 30.000 umani, ma altrettante raganelle per sopravvivere in quel posto. Pensando questa sciocchezza, Elena si alzò distrattamente e si avviò con passo lento. Non aveva idea di chi potesse essere, ma ciò non sembrava turbarla. Una visita a sorpresa di mamma, pensò.
- Chi è?
- Apri, sono io.
Il citofono le cadde dalla mano, come pure la sigaretta, che le bruciacchiò appena il pantalone della tuta nera, su cui lasciò un’invisibile striscia di cenere. Rimase in piedi per quasi un minuto, ferma e muta, immobile. Non riuscì a piangere. Aprì la porta. Una figura irriconoscibile saliva le scale. Indietreggiò. Lo lasciò entrare e cadde sulla sedia della cucina.
Giovanni Costa era lì, decisamente vivo. I suoi capelli biondi avevano lasciato il posto a una cascata di capelli neri mossi, simili alla lunga barba scura. Indossava una giacca a vento verde militare e un paio di jeans. Gli scarponi gialli e un paio di occhiali a specchio dalle lenti rossastre completavano l’abbigliamento. Gianni si tolse gli occhiali rivelando un paio di lenti a contatto azzurre che coprivano le sue iridi verdi. Elena stava per svenire: se non conoscesse Gianni così bene, non avrebbe riconosciuto i suoi occhi e la sua voce, le uniche cose che tradivano una somiglianza di quell’uomo con il suo ragazzo. Lo guardò meglio: era molto dimagrito.
Gianni raccolse premurosamente la sigaretta dal pavimento e la spense nel portacenere di vetro che era sul tavolo.
- Amore, sono a casa. - disse calmo.
Elena si lanciò su di lui stringendolo a sé e scoppiando a piangere. Pianse anche lui, si abbracciarono a lungo. Lui tradiva una grande stanchezza, ma fece sedere lei sul letto.
- Ma… cosa, come?... - provava a farfugliare Elena, poi esplose: - Dicevano che eri morto! - urlò.
- La polizia ha troppe cose da fare e pochi mezzi per farle. Dopo un po’ non mi hanno cercato più. - disse Gianni sollevandole gli occhiali per asciugarle il viso tondo. Si guardarono negli occhi. Non dovevano aver dormito molto negli ultimi tempi, era evidente, e quei pochi sonni non dovevano essere stati tranquilli. I loro volti erano stressati, ma gli occhi di lui, come pure le sue mani, sembravano provati da fatica e stanchezza, quelli di lei dalle lacrime. Si fissarono concentrando in 7 secondi un film durato 7 meravigliosi anni, e non di déjà vu si trattò, ma di allucinazione, un’allucinazione divenuta piuttosto usuale in quei quasi 12 mesi di lontananza per ognuno dei due amanti.
- Dimmi cosa è successo, dimmi cosa cazzo ti hanno fatto! - gridò Elena, toccandolo, baciandolo: - Uh Gesù, Gesù, sei qui, vivo, tutto intero!!
Era fuori controllo. Gianni le prese le mani, teneramente:
- Paolo ti ha detto qualcosa?
- Ma che mi doveva dire, - Elena abbassò il tono della voce, sforzandosi di ricordare la conversazione di quella mattina. - ricordo qualcosa tipo “i miracoli non succedono ma se succedono”!
- Uhm. - Gianni si alzò in piedi per estrarre un modello di telefonino che ormai neanche i vu-cumprà usavano più. Compose un sms: “I miracoli non succedono ma se succedono. Complimenti per l’eloquio, ti avevo chiesto di prepararla!” e lo inviò a Paolo. Risposta immediata: “Mi sei costato una ferita al culo, un i-phone e un’eternità all’Inferno! Stronzo!” “Vaffanculo. A buon rendere. <3”
Gianni posò il residuato bellico che aveva in mano nella tasca. Si tolse la giacca a vento rivelando una maglia scollata verde sotto una giacca verde militare alla John Lennon. Si era preparato a questo momento per un anno e riuscì nella difficile impresa di mantenere la calma.
- Amore, sono tornato, sto bene, non era vero niente.
Elena restò letteralmente a bocca aperta, incapace di qualunque reazione. Giovanni e Paolo erano amici da quindici anni, erano stati compagni di scuola e ne avevano combinate di tutti i colori. Ma una cosa del genere era semplicemente incredibile.
- È andata esattamente come credevo, anzi meglio. Per diventare un caso letterario devi prima essere un caso umano. E questo vale per tutta l’arte, forse per le arti figurative e la musica è ancora peggio. Per me la vita e l’arte sono sempre state la stessa cosa, ma per diventare un artista ho dovuto rinunciare alla mia vita, sono dovuto morire a 27 anni come un cazzo di Jim Morrison.
- No! Non è vero, non è vero! - scoppiò a piangere Elena. - Dimmi la verità, cosa ti hanno fatto? Tu sei stato rapito, eri morto, tu non sei più tu! - vaneggiò.
- Amore della mia vita, ti ho mai detto una bugia?
- No, ma sei sparito per un anno!
- E la verità la sappiamo solo io, Paolo, e adesso tu.
- Il rapimento?!... - continuò a protestare Elena. Gianni le si parò dinanzi e cominciò il suo racconto:
- Non c’è stato alcun rapimento. Abbiamo inventato tutto. Mentre loro cercavano nel Distretto Meridionale, io salivo a nord. Immediatamente dopo essermi rasato barba e capelli con la macchinetta di Paolo, e aver prelevato tutti i soldi, sono andato nel Quartiere Balcanico, nel campo rom dietro le raffinerie.
- I serbatoi?
- Brava. Paolo mi aveva dato anche nuovi vestiti e un paio di occhiali scuri, ero irriconoscibile. Il giorno stesso, chiesi un passaggio a due idioti e lasciai l’Agglomerato. Tenere sotto controllo ogni strada è impossibile in quel posto, come pure rendersi conto di ogni persona che entra o esce.
Elena non credeva alle proprie orecchie. Gianni proseguì:
- Ho vagato nelle campagne per un po’, quindi in un autogrill ho trovato il mio uomo: un camionista diretto in Svizzera. Si vedeva lontano un miglio che era alcolizzato, beveva continuamente, non credevo ci fossero ancora personaggi che girano con i fischi di vino! Ho corso il rischio e mi sono fatto portare fino a Losanna. Al confine nessun controllo né domanda: da quando sono entrati nell’Unione è così. Ettore, l’ubriacone, invece parlava, gli davo tutte risposte inventate che poi dimenticava. Intanto la radio ci aggiornava sul caso Costa, se ne incominciava a parlare e io resistevo alla tentazione di ritornare indietro.
- No… - Elena fece un ultimo, disperato tentativo di resistenza.
- Sì… - riprese Gianni, deciso a vuotare il sacco per intero una volta per tutte. - A Losanna presi un autobus per Châtel-Saint-Denis, un paesino sul lago Léman, canton Friburgo. Lì c’era l’unica persona che mi aspettava: Vic Leclerq, il ristoratore di origini italiane per cui Paolo ha lavorato per anni. Gli italiani fanno poche domande e lui aspettava semplicemente un amico di Paolo. Ho vissuto per un po’ senza documenti, poi ti ricordi il viaggio di lavoro di Paolo poco dopo il “rapimento”?
- Sì… - disse Elena che cominciava a crederci.
- Era un vero viaggio di lavoro, ma in città erano pronti i documenti falsi e Paolo li portò a Châtel-Saint-Denis. Mi chiamo Frederick d’Antoni, ho quasi 28 anni… e sono nato nell’Agglomerato, zona Centro Storico.
- Chi ti ha dato i documenti?
- “Amici” di Paolo. Gli stessi che hanno mandato l’email dalle Rampe di Nord per poi distruggere quel pc rubato nella vicina discarica di Ponte Morto. Siamo stati grandi, eh?
- Non è possibile, perché non me l’hai detto?
- Non si poteva fare, era troppo rischioso, non potevi recitare questa parte in modo naturale per 12 mesi.
- Hai fottuto il mondo intero e parli a me di rischio?!
- Non potevo coinvolgerti in questo, era troppo pericoloso, cosa sarebbe accaduto se ti avessero scoperto? Preferivo rischiare cento volte da solo che una in tua compagnia.
- E mi hai portato via un anno di vita, hai idea di come sono stata?!
- Lo so, me l’ha detto Paolo e ho letto i giornali. Non si è parlato d’altro. Ora siamo insieme, abbiamo tutta la vita davanti, e siamo due superstar. - Estrasse una sigaretta dal pacchetto e la accese. Elena lo guardava come si guarda un fantasma, come Penelope guardò Ulisse alla fine di un epico, fantastico viaggio.
- Come hai vissuto?
- Con i miei pochi soldi, ho fatto il lavapiatti da Vic. - Gianni era pelle e ossa.
- Hai avuto altre donne?
- Beh sai baby, le svizzerotte…
- STRONZO! - esplose Elena, lanciandogli dietro il portacenere che andò in frantumi. Era incredibile come questa fu l’unica cosa uscita dalla bocca di Gianni a cui certamente non credette, era incredibile quanto i due si amassero e quanto, nella collera, lei fosse felice nel sentirsi chiamare di nuovo in quel modo. Non riuscì a fermare la sua mano che assestò uno schiaffo rumoroso sulla guancia di Gianni.
- So che mi perdonerai.
- Sei un bastardo egoista! - singhiozzò Elena, ricadendo a sedere sul suo letto.
- Guardati intorno. - disse Gianni allargando le braccia. - Questa casa, la macchina… come avrei potuto farlo, da vivo?
- Preferivo stare con te sotto un ponte!
- I miei come stanno? - cambiò argomento Gianni. Una reazione del genere era comprensibile e lui, al contrario di lei, era preparato.
- Bene, per quanto possibile! Sei un pazzo! Il tuo ultimo libro, che ho assemblato con l’editore, è stato pubblicato dalla prima casa editrice del Paese, ma sono sicura che lo sai già. Non sappiamo cosa farcene di tutti i soldi che stai facendo, io neanche volevo farle queste cose, ma gli editori…
- Invece volevi, perché ti piace, ero sicuro che l’avresti fatto. Certo, devo dire che questa storia è andata oltre le mie aspettative. Mi conosci, non l’ho fatto per i soldi.
- E allora perché? - gridò Elena, e bestemmiò.
Gianni fece segno di abbassare la voce.
- Ho sempre voluto essere una statua del parco comunale. È bellissimo. C’era solo un problema: prima avrei dovuto morire. Li ho fregati.
Elena lo guardò negli occhi. Lo conosceva troppo bene per non sapere che era proprio così: l’aveva fatto per diventare un autore famoso e stimato, che aveva pubblicato in vita un solo libro e in morte chissà quanti altri, tutti best-seller. Così va il mondo: ti permettono di fare carriera quando sono sicuri che non potrai goderne e che non ti servirà assolutamente a niente, e sui social network tutti fanno a gara a pubblicare le tue foto, i tuoi versi e la scritta “Ciao Gianni… <3 RIP :’(“.
Cominciarono a ridere. Elena si buttò su di lui, colpendolo e insultandolo. Gli pareva un altro, eppure sentiva di aver ritrovato la parte più familiare di sé. Gianni si difese come poté, non era molto in forma. Cominciarono a baciarsi, a toccarsi, dopo quasi un anno fecero l’amore, poi di nuovo, la terza volta distrussero un comodino e ruppero uno specchio, risero sei 7 anni di guai, che considerarono già scontati, poi crollarono sul letto, nudi, senza coperte, abbracciati, gemendo e piangendo.
Gianni si accese una sigaretta, l’ultima. Il portacenere non c’era più. Spense la cicca nel pacchetto che scaraventò via, poi guardò il soffitto e si addormentò. Gli parve di non dormire da un anno.

L’indomani mattina la coppia si svegliò felice e incredula. Avevano sognato quelle che fino ad allora erano state le loro realtà: Elena il rapimento, mai avvenuto, Gianni la Svizzera. Prepararono la colazione semivestiti. Morivano di fame.
- Come sei tornato?
- Autobus.
- Ti piace la casa?
- Sì, ma devi smetterla di lasciare le chiavi sotto lo serbino.
- Come fai a… - Elena lo guardò. - Sei stato qui?
- Mentre eri in città. Ottimo bourbon.
- Era tuo.
- Lo so. A te non piace molto.
Elena era ancora sconvolta, a differenza di Gianni, e finalmente non doveva più nasconderlo. Si rabbuiò e chiese: - Lo dirai ai tuoi?
- Credo di sì, e anche ai tuoi, poi basta.
- Hai detto due superstar. - Elena gli puntò l’indice contro. - Non solo non sei una superstar; non sei proprio nessuno. Qui l’unica superstar è un morto. - Era quasi eccitata dall’essere tutt’a un tratto complice dell’uomo che amava in una faccenda simile.
- Rifletti: - Gianni si sedette a tavola e accavallò le gambe. - fama o non fama, il mio modo di scrivere è sempre lo stesso, con le sue naturali evoluzioni cronologiche: sono sempre io. Molti inediti che ti ho lasciato sono finiti nelle ultime tre raccolte: hai ancora qualcosa. Aggiungici la produzione svizzera: puoi farci un altro libro. Io continuerò a scrivere, giusto? - Elena ascoltava, aveva ancora un po’ di paura, ma adorava quell’uomo, anche se non lo aveva creduto capace di tanto. Annuì rapidamente, anche se la domanda era retorica. - Nessuno conosce esattamente la quantità dei miei inediti, ero certo della tua discrezione: sei stata bravissima. Quindi, abbiamo materiale potenzialmente illimitato. E poi, chi è quel bel moro tenebroso con cui si vede ultimamente andare in giro Elena Pedicini? - Gianni fece un sorriso enorme dei suoi, un sorriso semplicemente diabolico. - Uno scrittore dell’Agglomerato, coetaneo di Gianni Costa, che adora e di cui diventerà l’emulo. Non ho ancora deciso se i due si erano conosciuti… - Gianni rifletté un secondo, poi: - No, meglio di no, - decise. - …voglio dire, questo tipo salta fuori solo adesso!
- Ma ti senti quando parli? - esclamò Elena tornando per un attimo coi piedi per terra. - Ti rendi conto che non sei Dio? Quando ti fermerai?
- Sono già fermo. “Dio è una donna, / la Donna sei tu.” - sorrise Gianni, citando una sua poesia d’amore che ovviamente parlava di Elena e che aveva conosciuto particolare fortuna tra i giovani negli ultimi tempi. - Tutti la dedicano alla fidanzata, ma sei veramente tu… come potevo riuscirci? - ritornò a dire, e questa volta Elena non seppe rispondere.
Lo abbracciò: - Eri bravo lo stesso, non ce n’era bisogno… e quella ero lo stesso io, anche se non la conosceva nessuno… eri un giovane scrittore emergente di inizio millennio, ti avevo promesso che ce l’avresti fatta comunque, e poi non eri propriamente un signor nessuno, avevamo conosciuto sprazzi di notorietà, con le nostre sole forze!
- Tesoro, conducevamo una vita bohèmienne e percorrevamo una sfiancante gavetta senza fine! Sì, hai ragione, ma ho forzato la mia “emersione”. Ora dobbiamo solo stare un po’ attenti, ma ce l’abbiamo fatta. Secondo Murger la Bohème è quella breve parte di vita in cui sei giovane, affamato e sconosciuto, la quale lascia poi spazio alla vita vera coi suoi riconoscimenti e imborghesimenti. “La giovinezza non ha che un tempo…” - recitò. - Io, amore, lo sai, sono un “completista”, che in inglese è poi il collezionista. La mia collezione è la mia vita, e ci deve essere tutto ciò che desideriamo: Bohème, riconoscimento e felicità. È così che si rimane per sempre giovani.
- Questa di chi è?
- Gianni Costa, Frederick d’Antoni, Rod Stewart, che ne so! Elena, perdona il mio unico inganno, ma era necessario! Oggi sei qualcuno solo se stai nell’occhio del ciclone quotidiano dei massmedia e dell’isteria collettiva… ricordi il caso di quella scrittrice dell’Agglomerato, Elena Ferrante? Nessuno sa chi è e si azzardano le ipotesi più incredibili, voglio dire, la gente va domandando agli scrittori maschi “Scusi, lei è Elena Ferrante?” Una volta qualcuno aprì un discorso dicendo: “Io non sono Elena Ferrante!”
- C’eravamo a quel convegno, tutto questo è pura follia.
- Sì, lo è, come la vita e come l’arte, che sono la stessa cosa. Oltre questo, non c’è nulla, neanche il nulla che già sarebbe qualcosa. - disse imitando Jean Reno in La tigre e la neve di Roberto Benigni, mentre finiva di mangiare e si rivestiva.
- Adesso mi dici dove andiamo, Fuad? - sorrise Elena chiamandolo col nome del personaggio di Reno. Amavano molto quel dolce film.
- Andiamo al bar, naturalmente. Quasi quasi lo direi a Generoso, ma non posso: domani lo saprebbe tutto il paese!

continua...

Parte III

Quella mattina era domenica e il déjà vu di Elena fu più potente del solito. Sedeva lì, nel solito bar. I nuvoloni grigi tradivano di quando in quando uno sbuffo azzurro, un raggio di sole, e le voci della piazza si rincorrevano come una bizzarra sinfonia. Per Elena rappresentavano la più familiare delle colonne sonore, il sottofondo di tutte le domenica mattina della sua infanzia, di tutta la sua infanzia.
Era ancora presto per la prima messa, c’era poca gente in piazza, per lo più anziani, con qualche famiglia che passava ogni tanto. Il dialetto stretto, le auto, le urla dei bambini, il campanile avvolto per metà dalla foschia. La vigilessa fischiò.
Sedeva davanti a un cappuccino e una tazzina da caffè vuota. Faceva piuttosto freddo ed Elena non si toglieva il cappotto, la sciarpa, i guanti e il cappellino nero comprato l’anno prima a Parigi. Quella notte aveva dormito giusto un paio d’ore. Poi si era alzata, aveva fatto colazione e si era recata sul luogo dell’appuntamento. Non aveva disturbato Ginzburg, una delle più brillanti penne d’Italia, il quale dormiva come un sasso sul divano accanto al rumoroso frigorifero di lei, vestito, russando ogni tanto più rumorosamente del frigorifero stesso. Tra non molto si sarebbe alzato e avrebbe preso un autobus in tutta fretta per poter arrivare nell’Agglomerato in tempo per l’appuntamento con l’assessore. Questo pensava Elena, e non se ne curava, bevendo il suo cappuccino e aspettando il suo amico.
Il suo amico entrò nel bar invadendolo col suo sorriso smagliante e il suo saluto rumoroso. Paolo Torre richiuse la porta alle sue spalle; il vocio della piazza ritornò quasi inintelligibile, nonostante la gente fosse sensibilmente aumentata. Un raggio di sole entrò con lui.
- Sei stupenda, Elenuccia!
- E tu ti sei ubriacato e non hai neppure dormito! - lo salutò Elena baciandolo sulla guancia.
- Obiezione vostro onore! Ho passato la notte in videoconferenza con New York! Maledetto fuso orario! - Si sedette, ma come al solito era troppo grande per il tavolino e rovesciò una sedia con un calcio. Si affrettò a rimetterla in piedi, urtando il tavolino con la gamba. Elena afferrò le tazze al volo prima che si rovesciassero: - Paolo, devi dormire, trovarti una donna e farci l’amore!
- Lo so, ma non ne ho il tempo, o mi annoio, o entrambe le cose! Ho preso una pillola!
Caffeina in pillole, si trova in Nuova Alemagna ed è legale.
- Sei sempre il solito, ma ti trovo bene anch’io.
- Ambrogio, un caffè!
Il barista, che si chiamava Generoso, grugnì qualche insulto affettuoso che per Paolo continuava a valere più di un complimento o di un attestato di stima proveniente da New York City.
- Allora bello, - fece Elena. - cosa ti porta sul paesello?
- Mi mancavano i nostri appuntamenti mattutini, no?
- E basta? Sembravi ansioso di tornare, insomma, più ansioso del solito!
- Solo stress… sto bene… - disse Paolo mimando strani tic facciali che fecero ridere Elena, la quale beveva il suo cappuccino. - E poi devo tornare a casa, roba di famiglia.
- Tutto bene?
- Certo! - sorrise Paolo mostrando 32 denti, come al solito.
- La tua label?
- Bene bene, anche se c’è crisi. - rispose Paolo velocemente come se recitasse un copione. - Il mercato è saturo di inetti coi soldi, ma non mollo, questo mese esce un EP mio che è una vera BOMBA!
Il vecchio alle sue spalle si girò per via del volume con cui Paolo aveva pronunciato la parola “bomba”, almeno nella misura in cui glielo consentì la cervicale. A Noce viene a tutti la cervicale a 45 anni a causa del tempo inclemente e umido. Era segnato dalla fatica e dalle Peroni. Ritornò alla lettura del Corriere del Mezzogiorno.
Elena notò tutto. Ne avrebbero riso per tutta la vita. Se solo lui fosse stato lì. Déjà vu.
- Auguri, - fece. - o dovrei dire in bocca al lupo!
- E tu?
- Il solito.
- Come stai?
- Bene.
- Sicura?
- Sì. - Elena rispondeva meccanicamente.
- Ok. - disse Paolo. - Hai visto che business? - si schermì. - I libri di Johnson vendono a paccate!
- Parli come un dj. - lo derise Elena, che notò comunque quanto le fosse mancato quel soprannome di Gianni che non sentiva pronunciare da mesi.
- Io sono un dj. - le rammentò Paolo.
Elena registrò il déjà vu e andò avanti con la conversazione.
- È vero, allora parli come un uomo d’affari che parla ancora come un teenager!
I due scoppiarono a ridere. Elena lo conosceva bene.
- Comunque sì, - proseguì lei. - ho visto…
- Sei contenta?
- No.
- Tuttavia stai bene.
- Se vivi male, un giorno normale ti fa star bene.
- Mi sembri Gianni…
- Il prossimo che me lo dice lo accoppo.
- Eravate una coppia d’altri tempi… fuori dal comune, e dagli schemi, anche per altri tempi… Elena, ma secondo te, te lo devo proprio chiedere: il suo successo è figlio della sua incredibile storia o del suo effettivo valore?
- Che dire, Paolo? - Elena incrociò le gambe. - Gianni era bravo e apprezzato, ma è innegabile che è diventato una sorta di caso letterario, così lo definiscono. I critici più stimati scrivono delle sue poesie solo perché è morto. È diventato grande quando è morto. Sai che una volta qualcuno fece un esperimento? Andò all’incirca così: presero i versi di un autore sconosciuto, un giovane signor nessuno com’era Gianni, e dissero che erano inediti di Ungaretti o qualcosa di simile: la critica li lodò, il mondo letterario era semplicemente elettrizzato. Poi presero dei versi, poniamo, ungarettiani, e li spacciarono per opera di… Paolo Torre. Ebbene, vuoi sapere come reagì la benemerita società letteraria? In nessun modo, perché nessuno puntò un soldo bucato su un nome ignoto. Gianni si ricordava spesso di questa storia, lo colpì molto.
- È la morte della meritocrazia.
- Puoi dirlo forte, conta solo il nome, il prestigio, la notorietà. È un fatto di per se stesso evidente, si sa. Si chiama logica dell’apparire.
- Perché lui non è qui a vedere quanto tu in realtà sia simile a lui?
- Eravamo diversi, Paolo. - disse Elena senza accopparlo. - Era molto più simile a te.
- Perché dici questo?
- Perché era deciso a farcela a ogni costo rimanendo se stesso, come te. Ce l’avrebbe fatta, io lo so. Auguro a te ogni fortuna, per tutti e due.
- E tu? - chiese Paolo Torre.
- Io sto bene ora, te l’ho detto.
- Sicura?
- Che vuoi che ti dica, che si supera? No, non si supera. Si va avanti.
- Scrittura, università?
- Ho il mio locale.
- Dovresti…
Elena non sentì nemmeno la serie di “dovresti” che conosceva perfettamente. Si isolò. Le succedeva ancora, ogni tanto. Andò in “modalità-déjà-vu”, ma questa volta fu più simile a un flashback da LSD, cosa che non aveva mai assunto, e se ne sorprese. Si guardò intorno confondendo i volti delle persone, sudò un po’, vide le labbra di Paolo fermarsi e si accorse che, siccome non ne udiva più la voce, egli aveva smesso di parlare.
- Sì. - disse semplicemente, pensando di conoscere l’analisi socio-economica che certamente Paolo aveva appena concluso.
- Quindi, hai capito? Un miracolo non succede, ma se succede… Ora devo proprio andare, ti saluto.
Elena abbandonò il torpore in cui era sprofondata per salutare Paolo, il quale le diede appuntamento a un non meglio identificato “domani”, scambiò un paio di improperi con Generoso e uscì dal locale. Elena rimase lì, davanti a varie tazze vuote, con un accenno di emicrania e la netta sensazione che la sua bottiglia di whiskey perdesse, una sensazione piuttosto stupida per una domenica mattina in cui il solo pensiero del whiskey ti fa sentire male. Disgustata nonostante il buon cappuccino di Generoso e la buona compagnia di Paolo, pagò e andò via accettando i biscotti che le furono regalati, ma portandoli a casa per mangiarli in un secondo momento. La piazza era quasi piena, Elena aveva voglia di tornare a letto.

Elena entrò in cucina e trovò il biglietto di Ginzburg: “Grazie.”, semplicemente.
- In un paese civile questo dovrebbe valere qualcosa. - le sfuggì. - Andiamo bene, parlo da sola. Forse ha ragione Paolo, e pure gli altri. Forse eravamo più simili di quanto credessimo. Voglio dire, siamo nati in paese, siamo cresciuti insieme… - Déjà vu.

...continua

su di me

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Ariano Irpino, Avellino, Italy
Antonio Oliva è nato nel 1985 ad Ariano Irpino (AV). Ha partecipato a numerosi progetti teatrali e musicali. Nel 2009 si laurea in Lettere Moderne e nel 2012 in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Dopo diverse esperienze nel 2015 si abilita all'insegnamento presso lo stesso Ateneo. Ha lavorato a Roma e Bergamo e vive itinerando.
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