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Chi campa ‘nzieme a te
Te pare niente
Si jesce pazz’ 
È pazz’ overamente

(Chi vive con te,
ti pare poco?,
se impazzisce
impazzisce davvero.)
(‘E Zezi – Gruppo Operaio, Vesuvio)

In altro non sta la pena nostra, se non in volere quello che non si può avere.
(Santa Caterina da Siena)

Decidi di essere una cosa,
la giri e sei il suo contrario
(Marino Pappalardo)

Era sempre stato così, o forse no.
Dapprima erano loro due, avvinti a ogni forma d’arte e d’eccesso e l’uno all’altro. Poi arrivò Lex, con cui Marino formava una coppia che ricordava da vicino gli studenti goliardi che popolavano le prime Accademie medievali, antenate delle moderne Università. E non è un’esagerazione: una volta andarono davvero in Facoltà travestiti da Bacco, con tanto di corona di foglie di vite, satiri superdotati, zampogne e alquante baccanti.
Rischiarono l’espulsione più volte in gioventù, la prima e più memorabile delle quali per atti osceni, per poi laurearsi brillantemente, Lex col massimo dei voti, Marino quasi. Vocazioni differenti: tutti dissero che Marino sarebbe diventato professore, mentre Lex scriveva molto bene. Il resto è storia.
E che dire di quando si tirarono in casa anche un disegnatore di fumetti col vizio del fumo e un guitto che viveva quasi in condizione di vagabondaggio? Maury si iscrisse tardi all’Accademia di Belle Arti, che mai completò, Andrea continuò a studiacchiare e recitare col sogno di incontrare la persona giusta e fare un film, imborghesendo un tantino il suo standard di vita che fino a un certo punto anche un picaro avrebbe detto penoso. Purtroppo, il suo cellulare vibrava solo per comunicargli che aveva una richiesta di amicizia dalla Associazione Culturale Teatrale di Transacqua.
La vita, le opportunità, le donne, i soldi, che a volte c’erano ma più spesso mancavano, li portavano qua e là, su e giù per l’immensa distesa di sogni infranti chiamata Agglomerato, dove uno studente diventa barbone e raramente succede l’inverso anche se alcuni barboni sanno più di svariati studenti. Alcuni sparirono per un po’. Ora erano tornati tutti, e si vedeva.
Ma Marino non era come gli altri, che si accontentavano degli alti e bassi della loro esistenza. Marino Pappalardo doveva avere tutto. E si badi bene, tutto non vuol dire solo alti, ma tutta la gamma che va dall’Empireo all’Inferno, e guai se mancava un gradino. E doveva avere ogni gradino quando diceva lui. Doveva passare attraverso ogni esperienza senza soccombere, non importa quanto potesse risentirne. In questo era più estremo degli altri: il suo era un atteggiamento talmente radicale che, qualora non risentiva, nel bene o nel male, di qualcosa, quel qualcosa non era stato autentico, e si rabbuiava.
Non era facile stargli accanto, ma Eleonora ce l’aveva fatta per anni. Non era facile neppure stare accanto a lei, bellissima, di buona famiglia e anche piuttosto semplice. Con gli anni Marino era diventato piuttosto simile a un automa che mette tutto in cantiere e prosegue per la sua strada, ed Eleonora cominciava a non essere troppo da meno, e ciò la atterriva.
Marino era bravo, arrivava il successo, poi addirittura i soldi, avevano raggiunto notorietà quantomeno nazionale ed erano una delle coppie più invidiate, seguite e inseguite dell’Agglomerato, cosa che faceva impazzire lui e inorgogliva anche lei, perché no, come spesso ripeteva a se stessa di notte. Allora perché aveva voglia di piangere?
Marino dormiva accanto a lei, e non erano le storie di lui con altre donne a turbarla, perché erano false e, soprattutto, poco importanti anche se fossero state vere. Si amavano molto.
È vero, frequentavano i salotti più ricchi, gli artisti più famosi ed eccentrici, gli ambienti più in voga, conoscevano tutti ed erano amati per quello che erano, una giovane coppia famosa che poggiava sul solido talento di Marino, mentre lei studiava e un giorno sarebbe diventata dentista. Ma Marino stava decisamente esagerando.
Innanzitutto viveva la passione amorosa in modo assoluto e, in barba alla sua spregiudicatezza, a volte anche un po’ infantile: per lui tutto era un’esperienza unica, irripetibile, finanche epica. E fin qui a lei stava bene, almeno all’inizio, e questo pensiero la metteva al sicuro da ogni possibile congettura di infedeltà dell’amato, che al contrario, pur fidandosi di lei ciecamente, era tempestato da ogni dubbio possibile, ragionevolmente o meno. Inoltre lei prese a non sopportare l’ossessione di Marino per gli ultimi, gli emarginati, quelli che lei nel profondo, seppur restando sempre al suo fianco, considerava la feccia dell’umanità: non si sapeva mai se la serata sarebbe trascorsa in compagnia di un pittore, una ricca signora, una coppia famosa, una prostituta, un barbone cieco e incontinente, uno zingaro. Marino amava mescolarsi con chiunque e passare attraverso gli individui più diversi rimanendo sempre se stesso, o almeno così diceva lui. Ma in realtà lui chi era? Questo Eleonora da un po’ di tempo non riusciva più a dirlo con certezza. Lui era certo di saperlo, e riusciva perfino a convincerne il prossimo: era solo uno che univa yin e yang, decadenza e vitalismo, o, come diceva lui, chic e shock.
Intanto era arrivato il periodo indiano. Marino ed Eleonora frequentavano il quartiere di Delhi, lui cominciava perfino a modificare il suo look e il suo abbigliamento. Le approfondite letture che gli occupavano gran parte della notte influenzarono la sua produzione, che si fece mistica, confusamente orientaleggiante, quasi religiosa, salvo poi comportarsi in modo tutt’altro che ortodosso. Qui compaiono altre due ossessioni di Marino: da un lato una disperata ricerca della fede, dall’altro il tema sociale, il rispetto dei diritti umani, la condizione della donna.
L’opinione pubblica, avvezza a nutrirsi di disgrazie come di mentine per poi espellerle immediatamente (Marino parlava di disgrazia usa e getta), fu molto sensibilizzata da scritti che se non altro fecero rimbombare l’eco di talune sciagure un po’ più a lungo, ma a lui ancora non bastava: quell’orrore doveva restare per sempre sulla carta con i suoi versi, ed eccolo aggirarsi parlando continuamente di atrocità, perché chiunque, anche il più ottuso ignorante che viveva nel più remoto angolo, doveva sapere e fare qualcosa.
Quindi cominciò lui stesso a fare qualcosa. Oltre a sensibilizzare le persone su abomini perpetrati in società arretrate come in quelle cosiddette avanzate, che secondo lui avanzate non erano per niente, Marino diede il via a una vera e propria emorragia economica che andava dalle sue tasche direttamente a Delhi, aiutando singole persone, abbracciando cause benefiche e divenendo maniacale nel controllo delle destinazioni dei fondi.
Era molto attento ai diritti e alle condizioni di vita delle minoranze e delle comunità straniere dell’Agglomerato, popolazione che raggiungeva livelli di densità spaventosi, ammassata com’era in ghetti e quartieri periferici, mentre al centro veniva spesso ignorata o temuta. Per un periodo Marino ed Eleonora si spingevano addirittura fin dentro il campo rom a est, dove lui prese a frequentare in particolare Feride, una bella ragazza dagli occhi lucenti, madre della piccola Vesna, da tutti conosciuta col nome di Diamante, la bimba che improvvisamente fuggiva dal campo e compariva quasi per magia negli angoli più disparati dell’Agglomerato. Memorabili ricerche di notte e di giorno facevano sì che la coppia riportasse Diamante dalla madre. Le periferie dell’Agglomerato sono posti violenti e Marino era terrorizzato dall’idea che accadesse qualcosa a lei o ad altri bambini, e probabilmente, nella sua innocenza, anche Diamante. Ciononostante lui, occhi fissi sul traguardo e volontà di plutonio, continuava a riportarla a casa.
Naturalmente neanche questa volta Marino lesinò i suoi sforzi: anche grazie al suo interessamento e alla sua insistenza (aveva rotto le scatole praticamente a chiunque in città avesse un briciolo di influenza o potere di qualunque tipo), i rom si videro assegnati molti appartamenti nella zona delle Case Popolari. Ma non c’era verso di cambiare le loro abitudini e le famiglie che venivano trasportate nei nuovi alloggi facevano immancabilmente ritorno alla baraccopoli giù nel Distretto Orientale. Si fecero illazioni perfino sui rapporti intrattenuti dallo scrittore con Feride, cosa per lui inconcepibile anche per non turbare il contesto sociale di lei. Dopo un poco Eleonora non tornò più al Campo Est.

Una brutta mattina un agricoltore di Delhi uccise sua figlia, non ancora diciottenne, a causa della passione di lei per la moda occidentale. Il fatto ebbe grande risonanza e si cominciò seriamente a ragionare sull’emergenza periferie e sull’emergenza Delhi, cosa che Marino auspicava, ma ormai era troppo tardi. Marino aprì gli occhi e frequentò il quartiere indiano sempre più di rado. Anche questa volta Eleonora restò al suo fianco.


 continua

su di me

La mia foto
Ariano Irpino, Avellino, Italy
Antonio Oliva è nato nel 1985 ad Ariano Irpino (AV). Ha partecipato a numerosi progetti teatrali e musicali. Nel 2009 si laurea in Lettere Moderne e nel 2012 in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Dopo diverse esperienze nel 2015 si abilita all'insegnamento presso lo stesso Ateneo. Ha lavorato a Roma e Bergamo e vive itinerando.
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